La pianta della canapa è alta 3-4 metri ed è originaria dell’Asia, dove è conosciuta da millenni per le proprietà sedative, analgesiche e antiemetiche utilizzate nelle medicine tradizionali nel trattamento di dolori, reumatismi e asma grazie ai suoi effetti analgesico, antiemetico, broncodilatatore, spasmolitico e ipotensivo. Inoltre, essendo stata coltivata in Cina fin dal 2700 a.C., la canapa è forse la più antica pianta tessile del mondo. Circa duemila anni fa i cinesi hanno preso a utilizzarla anche per ottenere la carta. Dal V secolo a.C. viene menzionata anche nel mondo latino come risorsa per fabbricare corde e vele. Nel medioevo, i resti di tessuti e cordame di canapa venivano usati per produrre carta, come ad esempio quella impiegata per stampare la famosa Bibbia di Gutenberg nel 1453. Anche le tele di pittori famosi, come Rembrandt e Van Gogh, erano ricavate dalla canapa. Tale uso del riciclo della canapa si è protratto fino a metà dell’800.
In passato, l’Italia, con le sue 80mila tonnellate all’anno, è stata il secondo produttore al mondo dietro alla Russia (che ne produceva quasi 350mila). Si trattava, ovviamente, di Cannabis sativa che, a differenza della canapa indiana (Cannabis indica), ha trascurabili effetti stupefacenti sul sistema nervoso centrale (euforia, rilassatezza, mancanza di coordinazione ed eloquio biascicato), con anche attacchi di ansia, paranoia, perdita di equilibrio, alterazione della percezione sensoriale e nausea. Contiene infatti un tenore di delta-9-tetraidrocannabinolo (THC) inferiore allo 0,5%, mentre la marijuana (ricavata dai fiori femminili e dalle foglie di C. indica) ne contiene tra l’1 e il 7% e l’hashish (ricavato dalla resina delle piante femminili di C. indica) tra il 2 e il 12% (ma, con particolari selezioni, si riescono a ottenere concentrazioni di THC anche maggiori). I THC sono dei terpenoidi fenolici.
La zona di maggior produzione della C. sativa (giunta a ricoprire più di 100mila ha di suolo italiano all’inizio degli anni ’40 del ‘900) erano le province di Ferrara e Bologna, ma molta ce n’era anche tra Rovigo e Modena e tra Napoli e Caserta. La canapa italiana, a differenza di quella dei maggiori concorrenti (Russia in primis) era caratterizzata da fibre particolarmente lunghe e quindi molto adatta alla fabbricazione di cordame e vele per le navi. Nel ‘700, infatti, il nostro Paese forniva la canapa alla più importante flotta di quel periodo: la Royal Navy con cui la Gran Bretagna ha assemblato il suo grande impero coloniale.
Le procedure di coltivazione e lavorazione della canapa erano molto complesse. Dovendo utilizzare la parte fibrosa della pianta, questa veniva messa a macerare in apposite fosse (situate lontano dalle case a causa dell’odore nauseabondo che si sprigionava), dove veniva pressata dagli uomini. Quando la polpa iniziava a staccarsi, la canapa veniva messa in altre fosse, con acqua corrente che portasse via tale parte, e quindi gramolata, cioè pestata con un pestello particolare, chiamato gramola, dalle donne, le quali provvedevano anche a lavarla, farla asciugare e filarla. Nella tradizione ossolana, la canapa era seminata all’inizio di maggio e raccolta a settembre. Macerazione e lavatura avvenivano in autunno, mentre le varie lavorazioni, destinate a produrre cordame e tessuti, avvenivano in inverno. A livello nazionale, oggi è stata rivalutata anche per scopi alimentari, medicinali, cosmetici e, negli ultimi tempi, per la bioedilizia e la produzione di bioplastiche.
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