Ixodes ricinus

Ixodes ricinus

Le zecche sono degli artropodi che si nutrono del sangue di vertebrati. Allo stato adulto sono provviste di 4 paia di arti, per cui appartengono alla classe degli aracnidi e non a quella degli insetti, che ne hanno solo 3. Inoltre, mentre gli insetti hanno il corpo diviso in tre parti (testa, torace e addome), le zecche l’hanno fuso in una sola, chiamata idiosoma, la cui porzione anteriore, spesso considerata erroneamente una “testa”, è lo gnatosoma. Si dividono in tre famiglie: Ixodidae (zecche dure, tipiche dei mammiferi), Argasidae (zecche molli, tipiche degli uccelli) e Nutalliellidae (vi appartiene una sola specie, e condivide caratteristiche con entrambe le precedenti famiglie). L’importanza delle zecche è dovuta al fatto che possono essere veicolo di malattie per animali e persone. Di seguito prendiamo in esame soltanto le zecche dure, tra le quali soprattutto Ixodes ricinus che, nelle nostre zone, è quella maggiormente implicata nella trasmissione di patologie umane.

CICLO DI VITA

Il ciclo di vita delle zecche si presenta sotto quattro forme: gli adulti, le uova, le larve e le ninfe. Essendo artropodi emimetaboli, le forme immature hanno un aspetto simile a quello degli adulti.

Gli adulti

Gli esemplari adulti di Ixodidae misurano alcuni millimetri (3-4 nel caso di quelle più piccole, come Ixodes ricinus, ma fino a 20 nel caso di altre specie) e sono provvisti di uno scudo dorsale che ricopre completamente l’idiosoma dei maschi, mentre nelle femmine si limita alla parte anteriore. Mentre infatti i maschi si nutrono poco o niente, le femmine sono destinate a ingurgitare una grande quantità di sangue, per cui il loro corpo deve potersi espandere posteriormente. L’accoppiamento avviene sull’ospite (in genere mammiferi di una certa dimensione, come gli ungulati, e occasionalmente gli esseri umani) prima del pasto o nelle sue fasi iniziali. Una volta fecondata, la femmina accelera l’assunzione di sangue e, dopo alcuni giorni di alimentazione continua (fino a una dozzina, nel caso di Ixodes ricinus), si lascia cadere al suolo dove, prima di morire, depone varie migliaia di uova.

Le uova

Ricoperte di una sostanza lipidica che le protegge dall’essiccazione, si schiudono sul terreno dopo alcune settimane.

Le larve

Di taglia molto piccola (spesso inferiore al millimetro), hanno solo tre paia di zampe. Sono provviste di una cuticola finissima che le rende sensibili all’essiccamento e, nel contempo, permette loro di respirare direttamente attraverso di essa. Si nutrono in genere su un piccolo mammifero (topo, riccio, ecc.) per pochi giorni, poi si lasciano cadere al suolo e mutano in ninfe.

Le ninfe

Molto simili agli adulti (hanno 4 paia di arti), sono però più piccole e mancano di apparato genitale sviluppato. Con l’ispessimento della cuticola, compaiono anche degli stigmi respiratori. Si nutrono su mammiferi di una certa dimensione (lepri, volpi, ecc.) o su uccelli per circa 4-5 giorni, poi si lasciano cadere al suolo e mutano in adulti.

RESISTENZA, SPECIALIZZAZIONE E ADATTAMENTO ALL’AMBIENTE

La caratteristica principale che balza agli occhi quando si considerano le zecche, è la loro notevole resistenza. Questa si è evoluta attraverso un notevole adattamento all’ambiente che ha comportato un elevato grado di specializzazione e, nel contempo, una marcata sobrietà, così da ridurre e semplificare al massimo le proprie attività. In virtù di ciò, le zecche adulte sono in grado di resistere per giorni interi all’immersione in acqua nonché al passaggio rapido delle fiamme in occasione di incendi boschivi.

In genere, una zecca trascorre oltre il 95% della propria vita sul terreno, salendo sull’ospite solo per nutrirsi. Tuttavia, alcuni generi di Ixodidae che vivono in zone secche, come ad esempio in certe aree africane, effettuano la prima muta (da larva a ninfa), o addirittura entrambe, sull’ospite, così da ridurre il rischio di essiccamento o di non trovare un ospite adeguato. Il fatto di nutrirsi di sangue, cioè di un cibo ad altissimo valore nutritivo, consente alla zecca di trascorrere lunghissimi periodi senza alimentarsi. Per compiere il proprio ciclo, ha bisogno di una temperatura di almeno 8°C e di un’umidità relativa di almeno l’85%. In mancanza di queste, può entrare in diapausa rifugiandosi in anfratti del terreno e riducendo le funzioni vitali quasi a zero per periodi molto lunghi: fino a sei mesi per larve e ninfe, addirittura due anni per gli adulti.

Le attività sul terreno sono comunque molto ridotte anche quando ci sono condizioni favorevoli, e rappresentano il prodotto di quattro diverse propensioni innate: fototropismo positivo (tendenza ad andare verso la luce), eliotropismo negativo (tendenza a stare all’ombra), igrotropismo positivo (tendenza a ricercare l’umidità), geotropismo negativo (tendenza ad allontanarsi dal suolo). Di conseguenza, la zecca dura ricerca sottili strutture, come gli steli d’erba, che le permettano di allontanarsi dal suolo poco luminoso, ma preferisce stare sulla pagina inferiore di questi, così è riparata dal sole che potrebbe provocarne una pericolosa perdita di liquidi. In questo modo, viene a trovarsi in posizioni più favorevoli a intercettare eventuali ospiti che si trovassero a passare da quelle parti. Ma come si accorge del loro arrivo? Le sue capacità visive sono molto limitate; Ixodes ricinus, poi, è addirittura privo di occhi, disponendo soltanto di cellule fotosensibili in grado di attivarsi in presenza di luce. Tuttavia, la zecca è dotata di pedipalpi e di un sensore particolare, l’organo di Haller, situato sulla superficie dorsale del primo paio di arti, non solo sensibile alle variazioni di temperatura e umidità, ma anche capace di rilevare l’anidride carbonica emessa con il respiro dall’animale che si avvicina. Quando questo giunge a tiro, la zecca lo afferra con il primo paio di arti e inizia a muoversi sulla sua superficie alla ricerca di un’area ben vascolarizzata e con cute abbastanza sottile sulla quale alimentarsi. Nelle persone, il cavo popliteo è la zona più colpita, ma si possono trovare zecche in ogni parte del corpo (a parte quelle con pelle molto cheratinizzata, come le piante di mani e piedi). Vi sono però alcune specie di zecche (ad esempio Hyalomma dromedarii, diffusa in area sahariana) che vivono in aree geografiche nelle quali, per mancanza di erba o carenza di ospiti, una tale strategia di “imboscata” non garantirebbe il necessario successo. In questi casi, tali specie si sono adattate a mettere in atto veri e propri assalti: di dimensioni maggiori, dotate di occhi e con arti più lunghi, vanno incontro agli ospiti e per salirvi rapidamente sugli arti.

IL PASTO DI SANGUE

La fase più complessa e specializzata del ciclo di vita delle zecche consiste nel pasto di sangue, tanto che, in assenza di un termine specifico (come morso o puntura), per descriverla si parla genericamente di “adesione”. Una volta individuata un’area adatta tramite i pedipalpi, la zecca vi lacera la cute con i due cheliceri, una sorta di pinze retrattili. Man mano che queste giungono in profondità, la zecca inserisce nella lesione cutanea il rostro o ipostoma, una struttura scanalata, dotata di denti a uncino in grado di ancorarla saldamente alla pelle dell’ospite. A questo punto inizia l’azione alternata in due tempi che si susseguono a ripetizione: l’inoculazione di saliva e la suzione di sangue. La saliva della zecca è una vera e propria bomba biologica, capace di esercitare molteplici azioni: anestetizzante (così l’ospite non sente nulla e non si ribella), antinfiammatoria e immunosoppressiva (così la zecca non viene disturbata dalla reazione cicatrizzante e dalle difese dell’ospite), citolitica (per sfaldare più facilmente le cellule dell’ospite), vasodilatatrice e anticoagulante (così aumenta l’afflusso ematico e il sangue rimane liquido), cementante (in modo da formare le pareti di una sacca nella quale si raccoglie il sangue), escretrice e igroscopica (così il sangue si concentra e se ne può assumere di più). Alla fine del pasto, una zecca può aver aumentato il proprio peso anche di 100 volte. Siccome l’elasticità della cuticola non è sufficiente a soddisfare le dimensioni aumentate, si rende necessaria la sintesi di nuovo tessuto che procede di pari passo all’assunzione di alimento.

LE PATOLOGIE TRASMESSE DA ZECCHE

Nel corso del pasto di sangue, le zecche possono veicolare vari agenti patogeni agli ospiti parassitati: sono infatti i primi vettori di malattie negli animali e i secondi (dopo le zanzare) negli esseri umani. Fra queste patologie, nelle persone che vivono in area alpina si osserva una crescente frequenza di borreliosi e di encefalite da zecche.

Borreliosi

Detta anche malattia di Lyme (dal nome della cittadina del Connecticut in cui è stata segnalata per la prima volta, nel 1975), è causata da Borrelia burgdorferi, un batterio Gram negativo a forma di spirale (appartiene infatti al phylum delle spirochete). Nel corso del pasto di sangue delle zecche infette, si mobilizza dal loro intestino medio (dove normalmente vive senza dare problemi) e giunge alle ghiandole salivari, venendo inoculato nell’ospite con l’emissione di saliva. In questo caso, nel punto di inoculazione viene a formarsi, dopo un periodo variabile da 1 a 30 giorni, un eritema a forma di bersaglio: attorno a un’area centrale (che può andare da alcuni millimetri a qualche centimetro) si osserva una zona normale, a sua volta circondata da una corona arrossata. In assenza di terapia, dopo un periodo variabile da alcune settimane ad alcuni mesi insorgono sintomi a livello di articolazioni, sistema nervoso e cuore, mentre a distanza di uno o più anni si osservano manifestazioni autoimmuni e acridermatite cronica atrofica. La terapia, da evitare in forma preventiva e in assenza di sintomi perché potrebbe contribuire a nasconderli, è di tipo antibiotico e consiste nella somministrazione di doxiciclina, amoxicillina o azitromicina per tre settimane. Non esiste vaccinazione. Nell’ultimo decennio, quasi ogni anno si segnalano alcuni casi di borreliosi anche nel VCO.

Encefalite da zecche

Sostenuta da un virus, si presenta in forma asintomatica nel 75% dei casi. Per il resto insorge con sintomi simil-influenzali che il 20-30% delle volte evolvono in meningiti (soprattutto nei bambini) o in encefaliti (più frequenti negli adulti). È maggiormente presente nella parte orientale dell’arco alpino, ma viene segnalata sempre più anche nella vicina Svizzera, le cui autorità consigliano la vaccinazione agli abitanti di tutti i cantoni, tranne Ginevra e il Ticino, che frequentino ambienti infestati da zecche. In questo caso, va effettuato un primo richiamo a distanza di un mese e un secondo dopo 6-12 mesi; consigliato anche un terzo a distanza di 10 anni.

COSA FARE

Per evitare di prendere le zecche, da più parti viene consigliato agli escursionisti di indossare abiti chiari (così da poterle facilmente individuare, essendo di colore scuro), maglie a maniche lunghe e soprattutto pantaloni da infilare in scarpe alte, tipo stivali. Considerando le temperature estive sulle nostre montagne, specie in questi ultimi anni, si può ben capire quanto tali indicazioni siano effettivamente applicabili. Analogamente, c’è da chiedersi se valga la pena irrorarsi di sostanze repellenti, siano esse di natura vegetale o, peggio, chimica. Per fortuna, l’inoculazione di borrelie avviene solo a partire dal secondo giorno, o più spesso dal terzo, dopo l’inizio del pasto di sangue. Di ritorno da una giornata trascorsa in montagna, quindi, è fondamentale passare in rassegna il proprio corpo e quello dei bambini, facendosi magari aiutare dal coniuge per controllare anche le aree meno accessibili da soli, come l’inguine o la schiena.

Una volta individuata una zecca adesa alla cute, è importante staccarla al più presto. L’operazione non presenta difficoltà: basta afferrarla il più possibile vicino alla cute, prendendola tra l’unghia del pollice e il polpastrello dell’indice (o viceversa), ed estrarla compiendo un quarto di giro. Negli ultimi anni si sono diffuse in commercio apposite pinzette per facilitare l’operazione. Qualora, in seguito a un’estrazione non ottimale, rimanga nella cute il rostro o una sua porzione, non ci si deve preoccupare. Si tratta infatti di una parte inerte che va trattata come una comune spina vegetale, disinfettando il punto interessato in attesa che esca da sola o eventualmente estraendola con un ago opportunamente disinfettato. Qualche anno fa, per facilitare la rimozione della zecca si consigliava di applicare alcune sostanze, come l’alcool, il petrolio o la vaselina, che “intontissero” l’artropode. Oggi questa pratica va evitata perché, entrando in sofferenza a causa della sostanza sgradita, la zecca potrebbe rigurgitare il proprio materiale intestinale, borrelie comprese, all’interno della ferita, causando l’infezione dell’ospite.