Con i suoi 150 km quadrati, il Parco Nazionale della Val Grande costituisce la zona selvaggia più grande delle Alpi. Ricco di storia, offre un esempio mirabile della capacità delle generazioni passate di adattarsi allo sfruttamento di pascoli in zone impervie e difficili da raggiungere. Oggi è frequentata da diverse decine di migliaia di turisti all’anno, interessati alle sue bellezze naturali e al fascino dell’ambiente in gran parte incontaminato da attività antropiche. Suddivisa un una rete di valli impervie che si succedono in maniera tortuosa, ha talvolta causato lo smarrimento di escursionisti poco pratici della zona. Questo aspetto, unitamente alla lunghezza degli itinerari e alla presenza di vipere (caratteristica dovuta peraltro alla sua ricca biodiversità), scoraggia talvolta alcune persone che vorrebbero gustarla in tutta tranquillità. Si presenta qui un itinerario facile e sicuro che riunisce le varie caratteristiche del Parco senza richiedere eccessive fatiche.
NOTE PRATICHE
Ritrovo a Cicogna, presso il punto informativo del Parco (coordinate geografiche: 46.0031 N, 8.4930 E). Provenendo dall’autostrada A26, si prende l’uscita per Verbania in direzione Verbania. Dopo circa 4,5 km si giunge a una grande rotonda, dove si continua inizialmente per Verbania ma dopo circa 150 metri si prende a sinistra per Cossogno – Cambiasca. Dopo tre tornanti iniziali, la strada prosegue per circa 3 km in un’area boschiva, quindi affronta un altro tornante a sinistra e dopo 500 metri incontra un bivio con l’indicazione a sinistra per Cicogna. Attraversata la località Santino, in circa 3 km si giunge a Rovegro, dove la strada si fa stretta e in vari punti degli 8 km rimanenti può costringere a una breve retromarcia in occasione dell’incrocio di altri veicoli. Seppure tortuosa, questa stradina asfaltata consente di raggiungere una posizione centrale nella Valgrande con il proprio automezzo. L’acqua è reperibile in più punti, mentre la presenza del segnale telefonico è discontinua.
PERCORSO
Da Cicogna (732 m) si raggiunge in circa 1h30′ l’Alpe Prà (1223 m) percorrendo una bella mulattiera che sale a tornanti regolari in una selva castanile corredata da alcuni tabelloni che descrivono diversi aspetti di quella che è stata a ragione definita “la civiltà del castagno”. Nella stagione autunnale, questa parte del percorso è particolarmente suggestiva sia per i colori assunti dalle foglie degli alberi sia perché si cammina su un tappeto di fogliame e ricci di castagne. Nella parte alta, il bosco si dirada e si aprono spettacolari vedute sul Lago Maggiore e il lago d’Orta, mentre il Monte Rosa spunta dietro i Corni di Nibbio. Giunti all’alpeggio, un’indicazione rivela la presenza di un interessantissimo masso coppellato, vero e proprio altare antico (forse addirittura preistorico), dotato di una trentina di coppelle e sito in posizione dominante sul Lago Maggiore, verso la direzione da cui sorge il sole. Degno di nota è il fatto che la foto di tale masso è stata scelta per la copertina della Carta Ufficiale della Valgrande. Poco sopra si trova il rifugio Casa dell’Alpino, alle spalle del quale si entra in una bella faggeta e con breve percorso si raggiunge un caratteristico intaglio nella roccia che permette di valicare lo spartiacque, entrando in Val Pogallo. Da lì si procede in discesa verso nord e in 10′ si giunge ai ruderi di Leciuri (1311 m) e, dopo altrettanto tempo, alla Cappella del Braco (1205 m), da cui si diparte una diramazione per Gana. Restando sul sentiero principale, si scende attraverso una faggeta, incontrando la piazzola di una carbonaia dopo nemmeno un quarto d’ora, e si giunge in altri 10′ nei pressi dei ruderi di Caslù di Sopra (947 m), visitabili deviando per meno di un centinaio di metri a destra del percorso e dominati da un vecchissimo ciliegio, ormai anch’esso fatiscente, di dimensioni eccezionali. Tornati sul sentiero, poco sotto si attraversa un piccolo torrente e si arriva a Caslù di Sotto (890 m), anch’esso situato sulla destra rispetto al percorso principale. Ancora poco più di un quarto d’ora di discesa e si giunge a Pogallo (777 m), villaggio che a fine ‘800, all’epoca del grande sfruttamento del legname, contava quasi un centinaio di abitanti. L’impresa boschiva era di pertinenza dell’industriale di origine svizzera Karl Konrad Sutermeister, emigrato a Intra da ragazzo, nel 1860, e divenuto per tutti “Carlo”. Dieci anni dopo, poco più che ventenne, aveva intrapreso la sua folgorante carriera di industriale, in parte ereditando dallo zio e in parte rilevando alcuni stabilimenti tessili della zona. Dalla primavera del 1882 questi funzionavano con l’energia prodotta dalla prima centrale idroelettrica italiana a corrente alternata, da lui costruita a Cossogno, utilizzata anche per fornire l’illuminazione pubblica di Intra e Pallanza e, in seguito, per alimentare la teleferica adibita a trasporto del legname della Val Pogallo nonché per elettrificare la zona. Un altro primato di Sutermeister è stato quello di avere introdotto, per primo in Italia, l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro per i suoi dipendenti. Risulta infine tra i fondatori della Banca Popolare di Intra, della Società Intrese di Navigazione e della locale sezione del Cai. A Pogallo sono ancora visibili i muri, non più protetti dal tetto, del grande palazzo che ospitava la sede dell’impresa e gli alloggi dei funzionari, mentre non sono più presenti le baracche in legno degli operai. Purtroppo, quel luogo non è stato sede soltanto di una produzione industriale d’avanguardia: come ricorda una lapide osservabile sul posto, il 18 giugno 1944 vi sono stati fucilati ben 18 partigiani nell’ambito di un grande rastrellamento compiuto dalle truppe naziste con grande spiegamento di uomini e mezzi. Una caratteristica insolita di Pogallo è che, nonostante si tratti di un nucleo abbastanza rilevante, manca di una pur piccola chiesetta.
Senza dislivelli di rilievo, si torna a Cicogna in un’altra ora e mezza attraverso una bellissima mulattiera lastricata, fatta costruire da Sutermeister all’inizio del ‘900, lungo la quale si incontrano piccole cascate che si alternano ad anse pittoresche del torrente Pogallo, nonché diversi pannelli informativi sulle particolarità naturalistiche e geologiche della zona. Su questo percorso si snodava un sistema di teleferiche e ferrovie a scartamento ridotto che, ormai tramontata l’epoca della flottazione, in 10 km portavano il legname al piano.
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